Faccio fatica a scrivere.
Io che scrivo, generalmente, con la stessa facilità e frequenza del mio respiro.
Ma oggi faccio fatica.
Perché il ricordo, di quello che successe un anno fa, fa sanguinare persino le lacrime.
Fu l’ultima volta, e proprio nel momento più alto ed emozionante della nostra vita da tifosi.
Senza retorica, senza voler scadere nel blasfemo, con pieno rispetto per chi non può (e neppure deve) comprendere.
Nei giorni a seguire, fu come essere svegliati da uno scossone violento, da una coltellata improvvisa, proprio durante il sogno più bello fatto ad occhi aperti.
Quel viaggio in compagnia di amici, verso ovest, verso un tramonto milanese che non potevamo sapere avrebbe portato ad una oscurità che – ancora oggi- sembra senza fine.
E quanto eravamo felici.
E quanto sapevamo di esserlo, cosa non banale in questa vita.
L’immensa coda in A4, le pisciate vietate in autostrada, tutto vissuto sempre col sorriso piantato sul viso come quel sole che ci cadeva davanti.
Quella salamella consumata sotto la Scala del Calcio, e quelle luci a San Siro che pian piano si coloravano di Bergamo.
Quel prato verde illuminato dai nostri occhi sognanti, bagnati da lacrime di emozione di cui non mi vergogno.
Quegli abbracci infiniti, mai così tanti come in quella sera.
Abbracci di cui sento ancora il calore, la forza, e il rumore delle ossa che gridavano con noi.
Abbracci che vorrei darvi io adesso.
Abbracci che darei con gli occhi chiusi.
Abbracci che vorrei recapitare in ogni luogo.
In ogni spazio.
In ogni tempo.
(per non dimenticare)
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