Capita ben poche volte un anniversario che unisca la gloria del trionfo all’abbattimento, fisico e psicologico, del dramma umano. Il 10 marzo 2020 l’Atalanta scriveva, nella quaterna (a tre; vedi QUI gli highlights) al Valencia al “Mestalla” di uno Josip Ilicic mai più rivisto a quei livelli, la pagina più entusiasmante della sua storia calcistica ultracentenaria. A Bergamo e in tutta Italia il dramma era già in atto. Il lockdown, quello vero, coi droni e i pattugliamenti conditi da autocertificazioni da deforestare l’Amazzonia in tre settimane, risale infatti al giorno prima, un lunedì, uno dei più infausti nei secoli dei secoli. Il Covid-19, qui e altrove, è stata e continua a essere una sciagura, una carneficina che ha ridotto al minimo i nostri diritti costituzionali paralizzando dalla paura la gran parte della popolazione, tra famiglie che hanno dovuto salutare la loro generazione migliore e attività economiche punite a prescindere senza un perché, in nome della distruzione di ogni forma di socialità spacciata per prevenzione sanitaria. Ai tifosi tocca sognare a distanza da tempo immemore, senza contatti con lo stadio e la squadra (salvo visitina di straforo a Zingonia prima del ritorno di Coppa Italia col Napoli e intorno allo stadio prima dell’andata con le Merengues), anche stavolta approdata agli ottavi di finale di Champions League. Il 16, un altro martedì, poco più d’un anno più tardi, lo scoglio su cui non incagliarsi si chiama Real Madrid.
Inutile sottolinearlo: la missione rasenta l’impossibile. Ko di misura a campi invertiti dopo la strenua resistenza in 10 contro 11, ritorno senza il cornuto e mazziato Remo Freuler a casa del club più titolato d’Europa. Ma provarci è un dovere anche morale dei nerazzurri nei confronti della loro gente, anche quella che appartiene calcisticamente ad altre parrocchie. Per continuare a sostenere nel mondo l’immagine, rappresentandone la volontà di riscatto, di una terra martoriata, che ha pagato un prezzo troppo caro a una pandemia nei confronti della quale non è mai stata dotata degli strumenti per difendersi. Vedi ritardi nell’approvvigionamento e nella somministrazione dei vaccini per non dire di peggio, ovvero dei protocolli sbagliati durante la prima ondata che hanno mietuto decine di migliaia di vittime, fatte frettolosamente incenerire con tanto di cortei macabri a favore di mezzo televisivo giusto per evitare di risalire alla causa della morte, intralciando la guerra alla malattia.
Qui non si tratta solo di sport, ma di esistenza quotidiana a cui togliere la patina di grigio privo di orizzonte depositata ormai a tonnellate da quel 23 febbraio dell’anno scorso in cui ebbe inizio il tragico conteggio dei contagiati, con la prima vittima il giorno seguente. Zizou e compagnia, al Gewiss Stadium, si sarebbero presentati giusto 12 mesi dopo, per uno di quei bizzarri scherzi del destino. Mettersi ad aggiornare la conta dei positivi e affidarsi alle app da countdown della puntura risolutiva, che quando capita capiterà, è del tutto superfluo. Gian Piero Gasperini e i suoi ragazzi, magari restituendo al meglio di sé il fuoriclasse che dipinge magie sullo spartito verde, a Valdebebas martedì 16 marzo devono tentare il tutto per tutto. A casa dell’avversario, perché da una rivoluzione terrestre a questa parte il nemico è soltanto uno e col calcio non c’entra una cippa, serve ribaltare le sorti avverse. Per bissare la conquista dei quarti, continuare a riempire il libro dei record e soprattutto metterne in cantiere un altro: quello della rinascita a nuova vita di un popolo stremato senza alcuna colpa, sulle ali dei successi della sua espressione più alta dell’ultimo quinquennio. Una multinazionale dall’animo bergamasco, ma con fiammate potenti da vulcano in eruzione sopra la cenere e la brace. Forza mister, forza ragazzi. Siete voi il primo dei nostri vaccini.
Simone Fornoni